Il 19 gennaio 1977 il Coordinamento Fiat approvava la piattaforma rivendicativa per la vertenza aziendale: si trattava di una megavertenza che, a differenza del passato, riguardano quasi la totalità del Gruppo Fiat, quasi 200.000 lavoratori; restano escluse società come la Magneti Marelli e la Comau, che procederanno con proprie vertenze. Può sembrare paradossale che, mentre la Fiat decentrava la sua struttura in 11 settori, vi fosse un’accentuazione delle caratteristiche di Gruppo della vertenza sindacale, ma questo rispondeva sia all’esigenza della Fiat di mantenere un controllo centralizzato sul sistema di relazioni sindacali, sia all’esigenza sindacale di ricavare maggiore forza e maggiore visibilità nazionale dall’elevato numero di lavoratori e stabilimenti interessati, a cui si aggiungeva l’esigenza ideologica di preservare l’unità della classe. In realtà qualche problema sindacale nel tenere assieme il Gruppo si manifestò, poiché in queste occasioni Mirafiori, la fabbrica simbolo, occupava sempre la scena sindacale, diventando un punto di riferimento per l’impostazione della vertenza. Ciò, ovviamente, era fonte di polemiche con i delegati sindacali degli altri stabilimenti, che alle volte esprimevano forme di contrattazione altrettanto avanzate rispetto a Mirafiori, ma non sempre altrettanto considerate nei momenti di sintesi.
Le rivendicazioni erano molto articolate, complessivamente 130 richieste, e erano improntate ai temi degli investimenti, in particolare nel Mezzogiorno, e agli assetti produttivi e occupazionali degli stabilimenti con la ripresa delle assunzioni; altri aspetti erano quelli connessi con l’applicazione della mezz’ora di refezione retribuita per i turnisti, in riferimento a quanto stabilito nel Contratto nazionale di lavoro; inoltre un capitolo specifico riguardava le condizioni di lavoro, in particolare l’ambiente di lavoro e la tutela della salute dei lavoratori, sui quali si rivendicava una serie di strumenti di controllo (indagini ambientali e visite mediche) e di monitoraggio nel tempo (registri e libretti dove riportare i dati), a partire da aree prioritarie di rischio concordate. Invece, sul piano retributivo la richiesta era considerata “moderata”, aspetto che fu oggetto di accese polemiche interne alla Flm, probabilmente perché doveva fare i conti con la precedente conclusione del Ccnl e con l’accordo sul punto unico di contingenza che andò a regime nello stesso mese di febbraio del 1977.
Il confronto iniziato nel mese di febbraio arrivò rapidamente alla dichiarazione di sciopero ai primi di marzo: la vertenza si prolungò per quattro mesi e fu caratterizzata da momenti di tensione derivanti da fatti esterni alla vertenza vera e propria, come la vertenza interna dei carrellisti di Mirafiori e Rivalta e lo scontro alla Materferro, generato dalla richiesta aziendale di aumento della produzione, con la conseguente occupazione dello stabilimento dopo il licenziamento di quattro lavoratori. Nella fase finale della trattativa l’amministratore delegato della Veicoli Industriali forzò pesantemente un picchetto di operai davanti alle porte, con un atteggiamento che sembrò provocatorio; ciò causò la sospensione della trattativa con gravi rischi per la conclusione: alla fine la trattativa fu ripresa e si arrivò alla sottoscrizione dell’accordo. Complessivamente vennero “spese” dalle 80 alle 120 ore di sciopero.
L’accordo fu concluso formalmente il 7 luglio 1977: il testo era corposo (59 cartelle) e affrontava la politica degli investimenti Fiat, in particolare al Sud, con i relativi effetti occupazionali, che si quantificheranno in 6.000 assunzioni; sul versante dell’orario di lavoro si stabilì la sperimentazione del regime del 6 x 6 per tre turni giornalieri nello stabilimento di Valle Ufita e una forma di scaglionamento delle ferie per il Veicolo Industriale; inoltre furono stabilite una serie di miglioramenti ambientali, tecnologici e professionali, che recepivano e estendevano all’insieme del Gruppo molti degli aspetti definiti negli accordi di stabilimento o di reparto; in particolare si definiva l’applicazione di nuove tecnologie come il LAM (Lavorazione asincrona motori) nella meccanica di Mirafiori, che avevano lo scopo di superare la tipica organizzazione del lavoro sequenziato in linea e l’automazione della lastratura con il robogate; fu definita una specifica metodologia d’intervento, con la definizione concordata delle “aree prioritarie di rischio” per migliorare le condizioni ambientali e di tutela della salute dei lavoratori; questo fu un punto in cui, contrariamente agli altri aspetti, furono definite delle procedure sufficientemente precise e complesse, segno evidente che si era in presenza di una elaborazione molto avanzata e con caratteristiche che presentavano aspetti che oggi definiremmo concertativi. Infine fu concordato un miglioramento della mensa aziendale e il superamento della forma di indicizzazione del prezzo, che era legato alla contingenza; sul versante retributivo un aumento del premio di produzione di 9.000 mensili lire (circa 53.000 lire al valore della lira nel 2001), con l’assorbimento di 2.000 lire dagli eventuali superminimi aziendali; la quattordicesima erogazione fu portata a 300.000 lire con un incremento di 105.000 lire (circa 620.000 lire al valore della lira nel 2001). Un punto che nel corso della trattativa fu molto contrastato era quello relativo all’applicazione della mezz’ora di mensa retribuita prevista nel rinnovo contrattuale del 1976. Nel corso della trattativa emerse la richiesta aziendale di derogare l’applicazione di questa norma con la motivazione che su questo punto vi era un affidamento verbale da parte della segreteria nazionale della Flm. Ciò ebbe come conseguenza delle polemiche reciproche molto accese, ma alla fine fu precisato che sarebbero state rispettate le tempistiche previste dal Ccnl.
L’accordo era importante non solo per gli aspetti che sanciva, ma anche per le opportunità che apriva in termini di contrattazione di reparto, che affrontò successivamente l’insieme delle questioni definite. In particolare si svilupparono dei confronti a livello di singole tecnologie per equilibrare le produzioni tra stabilimenti del Nord e del Sud, per evitare una pressione produttiva eccessiva su Torino e saturare gli stabilimenti meridionali; inoltre per migliorare le condizioni di lavoro, definendo le aree di rischio e gli interventi necessari per ridurre le nocività presenti e costruendo percorsi di arricchimento professionale.
Nell’insieme l’accordo ebbe un giudizio positivo dall’insieme dei lavoratori: per la prima volta non vi furono le solite contestazioni da parte di minoranze più o meno agguerrite.