Nel mutato panorama delle relazioni sindacali si sviluppò una contrattazione con caratteristiche molto particolari, per definire il premio per il Lam (Lavorazione asincrona motori); un impianto progettato e costruito per consentire il montaggio dei motori “a fermo”, attraverso delle postazioni fisse alimentate da robotrailers che portavano le parti da montare. L’impianto era caratterizzato da fasi di montaggio relativamente lunghe (da 3 a 10 minuti) e da sistemi automatizzati di taratura che avevano il compito di garantire un’elevata qualità del prodotto. Tutte le operazioni più faticose (movimentazioni, avvitature, tarature, ribaltamenti del motopropulsore) erano state automatizzate. L’intero sistema di alimentazione e di avanzamento della produzione è controllato da un computer centrale. Come è stato già detto, l’impianto era stato realizzato alla Meccanica di Mirafiori in seguito all’accordo del 7 luglio 1977, ma era entrato in attività nel corso del 1980, impiegando circa 300 lavoratori sui due turni.
La Fiat ha sempre ingigantito il ruolo sindacale nella progettazione del Lam, soprattutto per lamentarsi dei costi eccessivi. In realtà l’impianto era nato come una risposta alla domanda sindacale di migliorare le condizioni di lavoro al montaggio, in particolare di individuare una soluzione per il lavoro “a fermo”, ma le modalità di progettazione e di realizzazione dell’impianto erano state gestite esclusivamente dall’azienda, quindi la trattativa sindacale fu avviata dopo che l’impianto era entrato in attività, sulla base di un minimo di esperienza di funzionamento. Alla luce dell’esperienza successiva si può affermare che l’impianto ha dimostrato la sua validità in termini di flessibilità produttiva, perciò alcune caratteristiche tecnologiche sono state trasferite in altri stabilimenti Fiat.
È necessario considerare che al Lam non erano applicate le normative delle linee di montaggio, quindi la pausa era di 20 e non 40 minuti, la saturazione massima era del 96% e i tempi di maturazione della 3^ categoria erano 36 mesi invece dei 18 previsti per le linee di montaggio. Tuttavia l’impianto aveva delle “fragilità” intrinseche, connesse con la maggiore complessità impiantistica e informatica, che implicava dei frequenti guasti; perciò era necessario un grado di collaborazione da parte degli operai molto maggiore degli impianti tradizionali, per garantire un livello di efficienza adeguato. Per questi motivi, in assenza di regole definite, l’azienda aveva erogato unilateralmente agli addetti all’impianto delle una-tantum annue di 40.000 nel 1980 e di 60.000 nel 1981 e 1982, aggiuntive del normale incentivo di rendimento.
L’impianto aveva caratteristiche innovative e allora uniche, perciò era necessario individuare un sistema incentivante adeguato a sollecitare l’impegno dei lavoratori in termini di quantità e qualità del prodotto: la trattativa si avviò nella primavera del 1983 e, nel clima generale di sostanziale rifiuto della Fiat della contrattazione sindacale interna ai reparti, fu considerata un evento eccezionale. Tuttavia anche le erogazioni unilaterali della Fiat avevano creato una situazione eccezionale, che giustificavano l’apertura della trattativa. All’interno del sindacato si ipotizzò anche che questa trattativa fosse il tentativo di una parte della Direzione aziendale di mettere in discussione la rigida linea di chiusura nei confronti della contrattazione sindacale; ma si deve anche tener conto che all’interno di quel reparto il sindacato poteva contare su una certa forza, essendo in grado di aprire un adeguato conflitto.
La discussione preparatoria alla trattativa fu comunque controversa all’interno della Flm, con una parte della struttura sindacale che si oppose al nuovo incentivo in via di definizione, perché considerava la materia contrattuale pericolosa e foriera di divisioni tra i lavoratori. In pratica solamente una parte della Cgil sosteneva la necessità di arrivare a un’intesa, mentre il resto e le altre organizzazioni sindacali erano sostanzialmente contrari. D’altra parte i rappresentanti sindacali della Meccanica, a maggioranza Fiom, erano convinti che vi fossero pericoli maggiori senza una normativa contrattata, poiché intravedevano il rischio di superamento delle regole previste dall’accordo del 5 agosto 1971, date le caratteristiche dell’impianto. Perciò si mossero con l’obiettivo della conferma della normativa precedente, sia pure adeguandola alle caratteristiche innovative del Lam, decidendo di proseguire la trattativa e addivenire a un accordo con il consenso di solo una parte della Flm. Del resto la “lettura” del funzionamento dell’impianto e delle complesse variabili che ne influenzavano l’efficienza furono oggetto di un accurato lavoro d’indagine da parte della rappresentanza sindacale, che aveva anche individuato modalità più efficienti di gestione dell’impianto stesso, subordinandole però a una mobilità interna tra le diverse parti dell’impianto che, secondo le richieste dei delegati sindacali, significava l’accesso alla 4^ categoria.
L’accordo fu firmato il 6 maggio 1983 e istituiva “un premio di efficienza di qualità, denominato premio LAM”. Proprio a causa delle divisioni sindacali il premio prevedeva una dinamica salariale contenuta; gli stessi delegati sindacali avevano preferito non caricare eccessivamente di aspettative salariali il premio, sia per le polemiche che si erano sviluppate internamente al sindacato, sia per l’imprevedibilità degli sviluppi futuri dell’impianto. Vi era in questo anche un antico timore che un incentivo troppo elevato comportasse comportamenti poco solidaristici tra i lavoratori: come si può notare alcune concezioni sindacali sono rimaste immutate nel corso del tempo. L’indicatore di efficienza si basa sulla produzione mensile effettuata (in ore) suddivisa per le ore di presenza dei lavoratori diretti; mentre l’indicatore di qualità è dato dal rapporto tra motori difettosi e motori prodotti, anche se nei difetti sono considerati solamente gli errori di montaggio dovuti agli addetti all’impianto. I due indici, moltiplicati tra di loro, danno origine all’indicatore che stabilisce il premio mensile; i relativi valori sono comunicati ai lavoratori tramite affissione nel reparto. Tale premio aveva comunque una parte garantita pari a 35 lire orarie e un valore massimo pari a 100 lire orarie; queste cifre, però, non furono più rivalutate, con l’inevitabile conseguenza di un progressivo deprezzamento del premio. Nel monitoraggio attuato negli anni successivi all’accordo si verificò che, in realtà, l’incidenza dell’indicatore di qualità era pressoché irrilevante, mentre l’aspetto più consistente derivava dalle fermate impreviste dell’impianto, quindi dall’indicatore di efficienza, che indicava perdite di ore di lavoro del 4% circa.
Oltre a prevedere il premio, l’accordo stabilì una procedura di verifica molto rigorosa, caso eccezionale nell’esperienza Fiat, con una comunicazione aziendale mensile della documentazione sui risultati raggiunti – “entro i primi dieci giorni del mese successivo” – e la possibilità di chiedere chiarimenti da parte sindacale – “entro cinque giorni” -; inoltre l’impegno della Direzione aziendale a comunicare preventivamente le variazioni organizzative e impiantistiche che avrebbero avuto influenza sui tempi di lavoro e sugli indici. Venivano confermati i diritti d’informazione sui tempi di lavoro e sui programmi produttivi mensili previsti dagli accordi degli anni settanta. Un altro aspetto interessante è che fu individuato un soggetto sindacale preciso incaricato della gestione dell’accordo: il Comitato cottimo istituito con l’accordo del 5 agosto 1971.
Nell’insieme si trattava di un accordo molto innovativo sia per la tipologia di premio, sia per il rigore e l’efficienza delle procedure sindacali di verifica; la stessa modulistica della documentazione di verifica del premio era precisata in dettaglio con esempi concreti negli allegati come la certificazione scritta su tutte le anomalie riscontrate nei difetti di montaggio suddivise in circa 200 voci. Vi era quindi l’effettiva possibilità di un ruolo propositivo dei lavoratori e della rappresentanza sindacale nella gestione delle variabili di processo e di prodotto. L’aspetto meno positivo immediatamente riconosciuto dai rappresentanti sindacali, era connesso al mancato riconoscimento della 4^ categoria. Su questo, la Direzione aziendale fu rigidissima, accettando solamente la riduzione dei tempi di passaggio dalla 2^ alla 3^ categoria per i nuovi inserimenti (su questo punto la normativa del Lam fu parificata alle linee di montaggio), mentre rifiutò le proposte dei delegati sindacali su una gestione più dinamica dell’impianto con l’utilizzo della mobilità dei lavoratori tra le diverse parti dell’impianto per equilibrare gli effetti degli inconvenienti tecnici. Secondo stime sindacali i costi derivanti dai passaggi di categoria sarebbero stati abbondantemente recuperati dall’azienda per effetto dell’ipotesi di gestione proposta, che avrebbe comportato un significativo decremento delle ore perdute per fermate d’impianto. La proposta sindacale prevedeva una mobilità tra le diverse parti dell’impianto soprattutto in occasione di fermate impreviste in uno dei sottosistemi, sfruttando le polmonature intermedie per regolare il flusso produttivo: nei fatti l’esperienza successiva dimostrò che le fermate impreviste dell’impianto sono la principale causa di inefficienza, mentre i problemi legati alla qualità per errori di montaggio sono praticamente inesistenti. Tuttavia anche alla luce di queste considerazioni di convenienza economica la Direzione aziendale non accettò mai la proposta sindacale per non riconoscere la 4^ categoria. Un altro limite fu individuato successivamente, quando fu anche riconosciuto che le dimensioni delle quantità salariali inserite nel premio erano troppo limitate, nei fatti il valore massimo del premio era limitato a 100 lire/ora.
Nell’insieme l’accordo rappresentava un vero esercizio di competenza contrattuale da utilizzare come esempio; tuttavia restò un accordo isolato, che non fu più nemmeno rinnovato nonostante l’evidente perdita di valore degli incentivi utilizzati. Per la tipologia d’incentivo e per le procedure adottate si trattava di una intesa che poteva essere considerata precorritrice dei cosiddetti accordi di “partecipazione”; tuttavia mancava la materia prima, cioè un’adeguata quantità salariale. Le polemiche interne e la successiva involuzione sindacale fecero perdere probabilmente un’occasione di ridefinire e estendere un’utile esperienza innovativa.