La crisi mondiale non è affatto una crisi esclusivamente finanziaria come tanti “discepoli” del sistema vorrebbero far credere: essa è una crisi globale, strutturale, di sovrapproduzione, che investe tutto il sistema di produzione e di vita capitalistico.

L’esperienza quotidiana dimostra che il capitalismo, nella sua fase più alta e finale, diventa più pericoloso per la classe operaia e i ceti popolari ad essa collegati, aggrava i problemi, causa le crisi e le guerre, condanna milioni di lavoratori alla disoccupazione e alla povertà, e tutto questo perché i monopoli, che sono il cuore pulsante del sistema, sono avidi di profitti e sono in competizione per il controllo delle risorse.

È stata prodotta un’enorme ricchezza, gli stessi tempi di produzione per costruire gli oggetti per la vita delle persone e dei lavoratori, diminuiscono e, grazie all’innovazione tecnico-scientifica, diminuiranno sempre di più. Ma i risultati dello sviluppo capitalistico sono stati raccolti dai governi dei ricchi, dai banchieri, dagli industriali, dalle multinazionali dagli armatori e dalle altre sezioni della borghesia, mentre le condizioni della classe operaia e degli strati popolari sono andate deteriorandosi e il futuro dei giovani e del Pianeta sono gravemente compromessi.

E’ da questo punto di vista che denunciamo con fermezza le vere cause della crisi, rafforzando lo scontro ideologico e politico svelando il ruolo dell’Unione Europea quale unione transnazionale imperialista ostile ai proletari, di intensificato sfruttamento capitalistico.

La strategia reazionaria di ristrutturazione dell’Unione Europea, decisa e promossa insieme ai governi subalterni, liberali e socialdemocratici, per soddisfare le esigenze attuali del capitale, ha svolto un ruolo fondamentale nel bloccare salari e pensioni, nel rovesciare i diritti del lavoro e della sicurezza sociale, nel favorire le privatizzazioni, nel distruggere diritti fondamentali dei lavoratori e del popolo, fino ad essere determinanti nello stravolgere le costituzioni dei paesi, che garantivano la sovranità dei popoli e la loro supremazia sul capitale e la finanza.

È dimostrato che il Trattato di Maastricht, l’Unione economica e monetaria (UEM), la strategia di Lisbona sono strumenti del capitale utilizzati per rendere i grandi gruppi monopolistici europei più competitivi e redditizi nello scontro tra le supremazie planetarie.

Insistiamo su questo punto per evidenziare che la barbarie capitalista non si arresta.

Le condizioni per la crisi si formano all’interno dello sviluppo capitalistico. In queste condizioni, vi è un eccesso di accumulazione di capitale e la contraddizione di base del sistema si aggrava.

La crisi emersa contemporaneamente a livello internazionale, negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e negli altri stati capitalisti, è una crisi di sovra-accumulazione del capitale, una crisi di sovrapproduzione.

Le crisi del capitalismo dimostrano che il sistema ha superato i suoi limiti storici. Per questo motivo le forze borghesi e opportuniste, comprese quelle forze cosiddette di sinistra che si richiamano alla socialdemocrazia europea, si adoperano comunque per sostenere il sistema e distorcere le ragioni che causano le crisi.

Parlano di “capitalismo d’azzardo”, di “crisi del debito”, di “crisi finanziaria”: limitano la loro critica alla gestione neo-liberale, assolvendo la socialdemocrazia e il capitalismo stesso, nonostante il fatto che è all’interno del suo processo di produzione che nascono le condizioni per la crisi, che si manifesta anche in altre parti del sistema capitalista.

Con il suo ordine simbolico garantito dal dominio dei mezzi di informazione, il potere oggi mira a dissolvere il senso della possibilità, “nessun altro mondo è possibile” affinché l’adesione al modello unico sia automatico, in quanto vissuto come naturale, né criticabile, né trasformabile.

A differenza delle formazioni totalitarie imposte con la forza, il segreto dell’odierna dittatura di mercato non sta nel non imporre con la violenza l’accettazione delle regole, bensì nel far sì che i cittadini le desiderino essi stessi, incapaci di percepirne il carattere dominante e a rassegnarsi alla sola libertà possibile.

Ed in questo modo, i bombardamenti in nome dell’umanitarismo e il taglio lineare dei diritti in nome dell’efficientismo, o le continue violazioni dei diritti costituzionali e della stessa costituzione, possano essere accettati supinamente e in modo consensuale, semplicemente gestendo il dissenso.

Il pensiero unico dominante decide sovranamente e, in seconda battuta, gestisce i flussi del consenso e del dissenso, di modo che le scelte appaiano democratiche e consensuali.

In nome della sicurezza contro l’emergenza, che sia l’immigrazione, crisi sanitaria, terrorismo, i governi restringono le libertà e inducono i cittadini ad accettare limitazioni e invasioni nella loro Vita privata che, in altri contesti, mai sarebbero state accettate.

Come inconfutabilmente si evince dalla situazione prodottasi negli Usa dopo l’attentato alle Torri Gemelle (New York, Il settembre 2001), o come in Europa con la guerra in Jugoslavia, per continuare con Afganistan, Iraq, Siria, Ucraina ecc. arrivando all’oggi con la crisi epidemica, la situazione di crisi emergenziale, mettendo in discussione la sicurezza, diventa un metodo teso a intensificare il controllo dei cittadini e a limitarne le libertà senza che mai si costituisca un generale moto di dissenso.

Per legittimare i bombardamenti etici e l’interventismo umanitario, la violazione di diritti, il capitalismo deve prima favorire, nell’opinione pubblica, un dissenso generalizzato verso chi si oppone come male necessario.

In questo modo, l’aggressione autoritaria non genera dissenso e non è mai percepita per quello che è, ossia per un ingiustificato gesto imperialistico, ma è anzi salutata dalle opinioni pubbliche manipolate come un intervento benefico e necessario.

Cosi, il dissenso non è soltanto disinnescato. E’di più, dirottato nei circuiti del pensiero unico e posto al servizio di quest’ultimo.

 Il fatto che il nuovo ordine conceda, con apparente generosità, libertà di ogni tipo, comprese quelle di contestazione, non solo non lede la riproduzione del sistema sociale, paradossalmente si capovolge in un fattore di potenziamento della repressione flessibile, che non viene più avvertita come tale ma, appunto, come una forma compiuta di libertà.

Per comprendere cosa realmente sia il potere, è sufficiente domandarsi chi tragga giovamento dalla divisione degli ultimi; tra rossi e neri, autoctoni e stranieri, atei e credenti, islamici e cristiani, populisti e europeisti, si vax e no vax; divisione finalizzata a fare s che l’ira degli offesi, anziché organizzarsi e scagliarsi verso il potere stesso, sfoci in lotte fra poveri.

Dividendo, il potere comanda indisturbato, spesso senza nemmeno essere nominato: la tradizionale lotta di classe tra proletari e padroni è sostituita da quella tra proletari in conflitto tra loro.

Il potere capitalista lascia che gli individui credano di fare liberamente ciò che il sistema stesso decide, in tal modo il conflitto vero non può divampare: se un tempo si credeva di non avere da perdere se non le proprie catene, oggi si ritiene di avere tutto grazie ad esse, senza nemmeno più avvertirle come tali.

L’integralismo economico ci vuole tutti calcolanti e non pensanti, operativi e non dissenzienti. In una parola, desidera disporre di un esercito di cultori ignari della propria schiavitù, non certo di potenziali ribelli.

Il pensiero unico impone parole e concetti sottratti a ogni discussione critica. «Populismo», ad esempio, diventa l’infamante accusa con cui il ceto intellettuale e politico etichettano chiunque osi schierarsi contro il potere.

L’ordine neoliberale difende, a corrente alternata, la libertà d’espressione, fintantoché essa esprime liberamente e in forma plurale ciò che asseconda e non contraddice il nuovo ordine mondiale

Non appena ci si discosta dal percorso preordinato e dal recinto chiuso dal pensiero unico, si è puniti con l’accusa di omofobia, di stalinismo, di «apologia di terrorismo», o come accade a chi denuncia il taglio della sanità pubblica e la scellerata scelta del green pass come NO VAX e contro la scienza, categoria che diventa in misura sempre crescente l’arma per silenziare ogni voce fuori dal coro.

Il potere deve ininterrottamente rinsaldare e manovrare il consenso dei lavoratori, inducendoli a dissentire sempre e solo verso potenziali liberatorie.

Per poterlo fare, oltre il condizionamento mediatico e politico, si servono del collaborazionismo sindacale, che ha sposato in pieno questa impostazione e perciò si adopera affinché i proletari si adeguino costantemente alle esigenze delle aziende.

Le aziende chiedono più straordinari? Si facciano più straordinari; le aziende chiedono di legare gli aumenti salariali alla produttività? Si leghino i salari alla produttività perché ovviamente la competitività sul mercato è essenziale! Le aziende organizzano ritmi accelerati di produzione? Si accettino i ritmi più accelerati, magari con il pretesto che non si può non adottare nuove tecnologie. Le aziende chiedono la riduzione dell’organico e l’introduzione di lavoratori precari nei picchi di lavoro? Si accetta che un certo numero di operai siano considerati in esubero, e ovviamente la «somministrazione di lavoro» a ditte appaltatrici e a lavoratori precari, basta che sia «gestita» dai sindacati complici …

Le misure di prevenzione e di sicurezza latitano? Devono essere gli operai che denunciano la loro mancata applicazione…

Ogni intervento delle aziende sull’organizzazione del lavoro è indirizzato allo scopo di rendere l’azienda più competitiva sul mercato, perciò più redditizia e quindi capace di produrre più profitto capitalistico in minor tempo; in genere, risparmiando il più possibile su ogni «voce» restringibile (vedi salari, manutenzione, prevenzione degli infortuni, mensa, pause, ecc.), e riducendo al massimo sull’organico.

La flessibilità e la precarietà degli stili di vita e della strutturazione dell’ordine neoliberista convivono cosi, nell’unità dialettica dell’uniclassismo.

Il potere capitalista, per un verso, occulta la contrapposizione tra classi. Per un altro, in modo convergente, impedisce che i conflitti e i dissensi che continuano oggi a moltiplicarsi sotto il cielo assumano la forma unitaria di un solo, grande dissenso verso il sistema del fanatismo economico e dell’alienazione garantita.

Anche dissensi e lotte di per sé nobilissimi, come quelli in difesa dell’acqua pubblica, dei diritti delle donne proletarie e della respirabilità dell’aria contro l’inquinamento o, ancora, dei diritti delle minoranze contro le discriminazioni, mancano di un loro comune orizzonte di senso che assuma l’unitarietà del genere umano come soggetto da emancipare dall’alienazione capitalistica e dal classismo economico.

Complici i servi del capitale, il nemico sarà sempre individuato nell’altro particolare, mai nel sistema economico dominante; con la conseguenza, del tutto paradossale, per cui il giovane disoccupato islamico si illuderà che il suo rivale sia il giovane disoccupato cristiano e non il magnate della finanza, signore del globalismo che pratica la delocalizzazione del lavoro e la volatilizzazione dei capitali. O, ancora, l’omosessuale disoccupato o precario riterrà surrettiziamente di essere più simile a un omosessuale proprietario di imprese multinazionali che a un eterosessuale disoccupato o precario.

E anche coloro che spingono il dissenso verso la tutela e il riconoscimento di diritti fondamentali, mai si spingono ad individuare e dirottare il conflitto verso il nemico reale.

Il potere raggiunge il grado massimo del controllo sulle anime, allorché riesce a convincere le menti degli schiavi che il nemico sia chi è nella loro stessa condizione, o addirittura, chi sta più in basso e non più in alto rispetto a loro.

Per questa via, il «conflitto» è dispersivamente frammentato nei mille rivoli delle opposizioni secondarie o, in ogni caso, tali da distogliere l’attenzione dalla contraddizione principale.

Cosi, si polverizza la coscienza di classe e si impedisce preventivamente il costituirsi di un fronte unitario degli offesi del pianeta contro l’oligarchia finanziaria e in difesa di un assetto autenticamente democratico, fondato su rapporti tra individui liberi, uguali e solidali.

Le differenze con la CUB sono sostanziali. 

Siamo schierati contro quel sistema di potere e di oppressione rappresentato dall’Europa dei burocrati che pone il sistema finanziario e del capitale al governo dei popoli. Oramai da anni assistiamo al rituale dell’autunno caldo, o alle false rivendicazioni, di realtà sindacali che vanno da CGIL, CISL, UIL, organizzazioni di dx e sx, e diverse componenti di appartenenza sindacale di base, che non costituiscono un’opposizione al sistema economico. Con le processioni scenografiche rivolte verso tutto fuorché la società di mercato, svolgono, anzi, una funzione anestetizzante rispetto al dissenso.

Di più, si rivelano uniformati all’Europa dei banchieri, come è accaduto in occasione dello scorso G 20 a Roma, con manifestazioni che attaccavano il sistema di potere e di classe e rivendicavano l’immediata uscita dall’euro, Europa e Nato, e con altre che pur contestando il sistema in modo camaleontico ne assecondava la continuità, del quale condividono il progetto degli Stati di un capitalismo sostenibile in nome del pensiero unico completamente omologato.

Nell’epoca dell’individualismo degli egoismi senza slancio, anche i dissensi restano autoreferenziali, sconnessi da una prospettiva più grande che sappia accoglierli e, insieme, organizzarli nella forma del «conflitto» verso la civiltà dei consumi.

Nell’odierno quadro, il disarmo del dissenso e delle conseguenti pratiche dell’opposizione in nome della società emancipata non scalfiscono, e nemmeno nominano, la contraddizione principale.

E’ indispensabile ricordare le tante iniziative  e i documenti (anche programmatici) da noi stilati come FLMU, contenenti analisi ben dettagliate a riguardo, ma questa classe dirigente della CUB non ha mai voluto prenderle in considerazione e si è limitata ad esprimere posizioni zoppe e ambigue, mentre parte di essa esprime la volontà di salire sul  “carro dei padroni” aderendo all’accordo del 10.01.2014 (Testo Unico sulla Rappresentanza), noi da sempre contrari sosteniamo che gli sfruttati hanno sempre avuto una sola arma: l’astensione dal lavoro, il blocco della produzione, lo sciopero!

Quindi padroni, governi e sindacati compiacenti, in questi anni, hanno potuto concentrarsi in un’unica direzione: depotenziare la libertà di sciopero, partorendo prima delle intese, protocolli, poi degli accordi interconfederali, poi recependo il tutto nel reazionario TESTO UNICO SULLA RAPPRESENTANZA (TUR 10 gennaio 2014), che sia chiaro non è legge (ancora per poco), ma è a sua volta recepito in tutti i CCNL firmati ovviamente da CGIL-CISL-UIL-UGL, è un accordo applicatissimo in tutto il settore privato.

Sono solo 4 capitoli chiarissimi, per es. il quarto, riporta testualmente “…PREVENIRE IL CONFLITTO”.

L’accordo del 10 gennaio sancisce poche cose e chiare: non tutti possono contare le loro tessere sindacali, quindi solo alcuni possono esistere, lo sciopero può essere sanzionato pecuniariamente, solo chi firma questo accordo può contrattare e firmare accordi, solo chi firma questo accordo può eleggere i rappresentanti sindacali, solo chi firma questo accordo può avere il diritto di affissione, solo chi firma questo accordo può avere i permessi sindacali…

In sostanza si sono determinati 2 modelli sindacali, uno basato sul riconoscimento del padrone, ed uno sul riconoscimento del lavoratore.

Accreditarsi dal padrone è pericoloso, snatura e soprattutto ti “lega le mani”. Come non comprendere che gli accordi vincolanti bloccano l’azione?

Registriamo infatti un generale appiattimento, una normalizzazione di tutte quelle categorie private, storicamente avanguardie di lotta, persino tra i metalmeccanici, ma laddove questi accordi si rifiutano, si registra ancora una fisiologica disponibilità al conflitto.

177 organizzazioni sindacali hanno aderito “all’accordo del 10 gennaio” (anche di base) e solamente 12 resistono credendo ancora nel conflitto e nei rapporti di forza.

Ecco una ragione in più che ci distingue e ci caratterizza rispetto a tutte quelle organizzazioni sindacali di base che, dopo aver criticato l’accordo dei confederali, anni dopo si sono accodati per aderirne, sperando di avere uno sviluppo rapido, sempre in ottica concorrenziale tra le OO.SS. anziché in ottica di classe.

La storia dimostrerà come non ci sia nessun accordo tra sindacato e padrone che tenga, quando i lavoratori uniti decidono di reagire, e noi quel giorno avremo le “mani libere”, saremo lo strumento migliore, cioè quello che deve essere un sindacato.

La CUB ha smesso anche di ritenere centrale l’attività nei luoghi di lavoro. Ci hanno definiti radicali, non allineati ai tempi. Per noi essere radicali vuol dire andare alla radice del problema per ricercare la soluzione.

La radice del problema è semplicemente questo sistema infame chiamato capitalismo che continua a mettere davanti alle nostre vite i profitti di pochi. E sarà sempre peggio a meno che non facciamo emergere ed organizziamo la vera variante che manca all’appello: la variante rivoluzionaria fatta dagli operai, dai disoccupati, dai lavoratori autonomi che non sfruttano il lavoro altrui, dalla gioventù che è stanca di questo modello economico e sociale che ci conduce alla barbarie.

L’organizzazione capitalistica del lavoro produce sfruttamento, oppressione, morte;  un’organizzazione che impone le ferree leggi del mercato, della competitività, del profitto, al punto  da: – manomettere, omettere e cancellare ogni misura di sicurezza e salute; – non applicare adeguate normative di prevenzione e protezione contro l’aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro, la  flessibilizzazione e la precarizzazione; – imporre la devastante sequela di contratti e contrattini dal  ‘Pacchetto Treu’ alla ‘Legge Biagi’, fino al ‘Jobs Act’ di Renzi. 

Quanti scioperi sono stati fatti in nome di un salario dignitoso, contro le privatizzazioni, per la riduzione dell’orario di lavoro e ridistribuzione del lavoro, per una sanità pubblica e gratuita, una riforma delle pensioni dignitosa che assicuri un cambio generazionale, rivendicazioni che trovano d’accordo, almeno negli slogan un pò tutte le OO.SS. ma non mette in discussione radicalmente il sistema capitalista e i dettami di questa Europa, dovrebbero spiegare come conciliare una riduzione dell’orario, salari dignitosi l’eliminazione del precariato, un assistenza e una previdenza gratuita e pubblica, con la richiesta di flessibilità, precarietà, maggiori profitti, aumento dell’orario, ulteriori privatizzazioni, che provengono da Bruxelles, ovviamente i media di regime si tengono ben distanti nel formulare queste domande, tutti omologati al pensiero unico, perfino durante una pandemia come quella che sta attraversando la nazione, vediamo che i fondi del PNRR destinati alla sanità pubblica sono all’ultimo posto appena 19 miliardi spalmati in più anni persino meno dei 20 miliardi destinati alla differenza di genere, eppure la sanità dovrebbe essere il primo punto.

L’autorganizzazione, l’analisi, l’informazione e la formazione, la lotta nei luoghi di lavoro sono la miglior prevenzione e protezione, sono la strada obbligata per favorire l’unità, alimentare la solidarietà, sviluppare la lotta, la mobilitazione, l’autorganizzazione della classe operaia e del movimento sindacale nel suo complesso. 

L’impegno di un sindacato di classe deve essere teso a rafforzare queste condizioni per modificare i rapporti di forza tra capitale e forza-lavoro a totale vantaggio della classe. 

Dagli slogan alla concretezza! 

Barbarie, guerre, miseria, diritti negati, sfruttamento dell’uomo e delle risorse e distruzione dell’ambiente, questo è il sistema così detto “capitalista” basato sul profitto. 

Dobbiamo con ogni mezzo a nostra disposizione contrastare questo stato di cose, creare gli strumenti organizzativi necessari, darci degli obiettivi all’interno di un programma. 

Definire una entità sul terreno di classe che si contraddistingue per la concretezza nell’agire più che dall’uso degli slogan. Avviare un percorso che, nel preservare le storie di ognuno, sappia definire un percorso inclusivo, unitario, organizzato e di prospettiva, che abbia anche un profilo definito contro ogni forma di deviazione della lotta di classe. 

Un serio e coraggioso sforzo che contrasta e neutralizza i mestieranti e chi, in seno alla classe lavoratrice, opera per una involuzione della presa di coscienza. 

Il nostro scopo è dare una sostanziale svolta, rimuovere gli ostacoli che da troppi anni, hanno arenato il sindacalismo conflittuale rispetto alla prospettiva per cui era nato. 

Denunciare pubblicamente e contrastare energicamente tutte le forme che hanno deviato dall’agire su un terreno di classe, che determinano arretramento o nei migliori dei casi immobilismo, delineare una pratica coerente e una organizzazione che non lascia margini a deviazioni volute o no. 

E’ necessario sollevare la presa di coscienza della classe lavoratrice e questo è possibile con un entità chiara e coerente ma anche con una organizzazione efficiente e disciplinata. 

Una prospettiva che passa dalle rivendicazioni immediate per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, che difende i diritti e le libertà, al superamento di questo sistema. 

Opporsi al governo sulle singole norme evitando una analisi politica che identifica le vere responsabilità e i veri obiettivi di quelle direttive, dimostra la mancanza di un vero progetto di lunga durata che abbia una finalità per una nuova società. 

Siamo ad uno spartiacque: omologarsi al pensiero unico del capitale, come i confederali che da  decenni hanno abbandonato le logiche conflittuali, la lotta di classe tra capitale/lavoro, oppure  perseguire con impegno la costruzione di un sindacato conflittuale di classe, ricostruire le basi per  riappropriarci del concetto di sovranità dei lavoratori e ricostruire una coscienza di classe tra chi vive  del proprio lavoro affinchè questi possano entrare politicamente nella storia come classe sociale e  protagonisti del progresso e proprietari dei mezzi di produzione. 

Gran parte del sindacalismo di base, nato proprio per rompere con chi ha accettato, prima la concertazione, poi la subalternità al sistema, oggi spesso adopera la stessa logica e a volte lo stesso linguaggio di chi si voleva combattere. La maggioranza del Direttivo nazionale della FLMU unitamente ad avanguardie e lavoratori di molti gruppi industriali grandi, piccoli e medi, hanno deciso di lasciare la federazione dei metalmeccanici della CUB per inconciliabili posizioni di metodo, di entità e di merito sull’analisi politica con la dirigenza CUB.

Percorrere vie burocratiche, tantomeno legali (così tanto praticate dalla stessa CUB) per accaparrarsi la sigla, non ci appassionano e non ci appartengono.

Costruire un’area convergente di tutte le organizzazioni, e i militanti che realmente vogliono combattere questo sistema fino al suo superamento. 

Il nostro interesse è l’entità, la coerenza e la prospettiva su un terreno di classe nel conflitto tra capitale e lavoro, per cui dirigenti, delegati, militanti, lavoratori e lavoratrici provenienti dalla FLMU  hanno costituito l’organizzazione sindacale della categoria dei metalmeccanici L.M.O. (Lavoratori  Metalmeccanici Organizzati) che aderisce al Sindacato Generale di Classe (SGC) organizzazione intercategoriale, per proseguire  l’attività, la lotta, la crescita di un vero sindacato di classe che sappia ricostruire le basi (ideali,  teoriche, ideologiche culturali) per riappropriarci del concetto di sovranità dei lavoratori e ricostruire una coscienza di classe tra coloro che vivono del proprio lavoro.

ALLA LOTTA! 

Lavoratori Metalmeccanici Organizzati (L.M.O.)

 aderente al Sindacato Generale di Classe 

 Primi firmatari

Antonio Ferrari Segretario generale L.M.O. (già Segretario generale FLMU)

Cristina Maniscalchi- Operaia Elecctrolux -Solaro (Mi) (già componente Segr. Nazionale FLMU)

Alberto Vallicelli – Operaio Electrolux -Solaro (Mi) (già componente Segr. Nazionale FLMU)

Stefano Sibilla- Operaio ILVA-Taranto (già componente Segr. Naz. FLMU)

Tommaso Pirozzi- Operaio F.C.A.-Stellantis – Pomigliano (Na) (già componente Dir. Naz. FLMU)

Andrea Di Paolo- Operaio F.C.A. -Stellantis – Termoli (CB) (già componente Dir. Naz. FLMU)

Massimo Seghezzi- Operaio Tenaris Dalmine – Bergamo (già componente Dir. Naz. FLMU)

Martino Santoliquido- Segretario provinciale L.M.O. di Potenza (già componente Dir. Naz. FLMU)

Fabio Fraccascia-Operaio ILVA- Taranto (già componente Dir. Naz. FLMU)

Giovanni Perelli- Operaio ILVA-Taranto (già componente Dir. Naz. FLMU)

Luigi Faillace- Operaio ISELFA – Varese (già componente Dir. Naz. FLMU)

Bruno Barillari-Operaio Bak. -Varese (già componente del Dir. Naz. FLMU)

Filippo Capitanini- Operaio Wirlpool – Cassinetta (Va) (già componente del Dir. Naz. FLMU)

Vincenzo Scirpo – Operaio F.C.A. – Stellantis Mirafiori -Torino (già componente Dir. Naz. FLMU)

Giuseppe Limantri – Operaio Marcegaglia- Ravenna (già componente del Dir. Naz. FLMU)

Seguono firme di avanguardie, lavoratori e lavoratrici del settore metalmeccanico