Caldo infernale reparti sporchi, mancaza di rispetto delle più elementari norme di igiene e sicurezza, ritmi massacranti.
Ecco questa è la foto della più grande fabbrica del mezzogiorno d’Italia, mentre con un clima torrido che sul nostro territorio supera i 40°, all’interno dei reparti, i lavoratori sono costretti ad operare in condizioni davvero critiche, climatizzazzione pressoche inesistente e inadeguata, a causa di una mancata manutenzione o di inefficacia degli impianti, ambienti sporchi e ritmi insopportabbili che in tantissimi casi superano le regole imposte dall’azienda stessa nel contratto FCA.
Ritmi che i lavoratori accettano supinamente, e solo con il ritorno a Pomigliano dei primi 27 lavoratori provenienti da Nola, ci si è resi conto della mancanza di informazione dei lavoratori su come operare, l’azienda che tenta di non far visualizzare il ciclo di lavoro, strumento previsto dal contratto, che specifica il processo di lavoro, operazioni per operazioni, che confrontato con la lavorazione reale, nella quasi totalita’ dei casi si trovano delle incongruita’, ovviamente l’operaio deve eseguire la lavorazione così come previsto dal ciclo, e non quello che gli viene detto verbalmente.
Intanto sono tantissimi gli infortuni, spesso anche mortali, è di pochi giorni fa il decesso di un lavoratore di 61 anni che mentre operava sul macchinario si è accasciato è ha avuto un infarto, le cause, il caldo eccessivo.
Il buon senso vorrebbe che con queste temperature il numero delle pause e la loro durata venisse aumentata, che fosse dato modo ai lavoratori di potersi rinfrescare più spesso, di bere, e lavorare a ritmi meno elevati e sospendere il lavoro in situazioni a rischio.
Ma il profitto non ha niente a che vedere con il buon senso e la salveguardia della salute delle persone che lavorano.
Quando fa comodo si fanno fermi produttivi, si mettono in cassa integrazione gli operai a scapito del loro salario, quando la produzione tira allora non c’è limite che tenga e gli operai possono pure crepare dal caldo.
Stellantis nel 2021 ha fatto 13,4 miliardi di euro di utile, ma non è in grado di garantire un microclima adeguato nei reparti dove si superano i 40° d’estate mentre d’inverno si gela.
Mentre le grandi multinazionali aumentano i profitti e vedono un grande business in quella che loro chiamano “riconversione ecologica”, noi assistiamo ad un cambiamento climatico dovuto a un modo di produzione intensivo, che non tiene conto né della natura, né della nostra salute.
Sta a noi rifiutarci di lavorare in condizioni che mettono a rischio la nostra incolumita’, la nostra sicurezza, la nostra vita.
Sta a noi organizzarci, unirci e rivendicare il nostro diritto a vivere e a non morire come bestie.