Sono trascorsi 15 anni da quando i 316 lavoratori Fiat di Pomigliano sono stati cacciati dallo stabilimento di Pomigliano, oggi sono rientrati quasi tutti, solo grazie ad una sentenza della cassazione che ne stabilisce l’obbligo di reintegro a Pomigliano.
Una lunga vertenza durata 15 anni, questi lavoratori furono, umiliati, discriminati, accusati di tutto, addirittura si arrivò a bollarli come pecore nere da eliminare dal gregge, una vera infamia, e i più fragili fra loro sono arrivati addirittura ad un atto estremo, come dimenticare la compagna Maria B., il quarto operaio suicidatosi dopo che tre operai si erano tolti la vita per le assurde condizioni di vita vissute a Nola.
Aveva scritto un articolo dal titolo “Suicidi in Fiat” dove accusava “Fiat e l’amministratore delegato, Sergio Marchionne”, di “fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori
I reparti confino sono un vecchio vizio “vessatorio” FIAT.
Cambiano le societa’, gli amministratori, ma le persecuzioni rimangono.
Ieri discriminati e deportati a Nola, era il 2008 quando denunciavamo l’operazione della Fiat e di Marchionne, con i reparto “confino a Nola”, proprio come la Fiat di Valletta degli anni 50 con le officine stella rossa noto anche come “Fiat confino”, perché lì venivano raggruppati gli operai che avevano turbato l’ordine delle linee di montaggio, rivendicando diritti.
Oggi Carlos Tavares continua con la stessa politica, “rcl e indesiderati, di nuovo discriminati, in un nuovo reparto confino”, stavolta interno all’azienda, mantenedoli sempre a salario ridotto, in attesa, di una probabile espulsione”, vengono messi tutti insieme, ma isolati dalla massa degli altri operai per impedire la diffusione dell’infezione sociale.”, “divide et impera” la sua idea di sviluppo, proprio come Valletta e Marchionne, non prevede interlocutori, e tantomeno comprimari.
L’attività sindacale in fabbrica è un morbo da estirpare, o appunto da confinare. Le uniche realta’ devono essere omologate al sistema, quindi le autoorganizzazioni devono scomparire.
Lo spirito geometrico della grande fabbrica si alimenta di ordine e regolarità; il tempo, rigorosamente calcolato, non ammette vuoti. Quelli che si manifestano sono i suoi sacerdoti, sindacati confederali, direttori, funzionari, capi officina e capi reparto, accreditati interpreti del verbo produttivo.
Ieri come oggi, i reparti confino indicano che i padroni non osano licenziare tout court gli operai avanzati, per timore di una reazione sociale, e anhe per continuare a spillare soldi allo stato.
Mettono quindi in opera, spalleggiati da politicanti e da sindacalisti “fuorviati”, un processo di lento isolamento che contano di terminare con l’espulsione.
E oggi come ieri le O.S. confederali presenti in fabbrica hanno altri interessi, indicono un assemblea su tre giorni, non per discutere delle problematiche, della mancanza di un vero piano industriale capace di far rientrare tutti i lavoratori a pieno regime.
Ma semplicemente per chiedere un voto, per il rinnovo delle RLS, poi poco importa se i lavoratori vengono trattati come schiavi, non vengono rispettate le più elementari norme di igiene e prevenzione, dove i ritmi sempre più insostenibili sono causa di infortuni e malattie professionali, dove i cicli di lavoro vengono elusi in continuazione, dove il potere d’acquisto dei salari è diminutio drasticamente a partire dagli anni 90.
Bisogna ribellarsi a tutto ciò i lavoratori hanno il dovere di lottare e di pretendere una vera rappresentanza, e di certo non possono essere i servi dei padroni presenti in fabbrica, ma d’altro canto vi è un silenzio assordante, varie sigle e movimenti di base divisi, che pensano più a guerreggiare fra loro che ad organizzare un vero conflitto di classe, l’unica possibilita’ è un patto tra di noi, un unita’ di intendi, pur nelle diversita’, ma capace di dare una sponda ai lavoratori.
Solo uniti possiamo contrapporci al padrone e batterci per rivendicare lavoro, salario e diritti…