DOCUMENTO POLITICO PRESENTATO IL 30 SETTEMBRE 2023, IN OCCASIONE DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE DEL SINDACATO GENERALE DI CLASSE…
La nostra analisi parte con il denunciare l’inutilità dell’accordo del 2018, che ha rappresentato la concessione dei rami d’azienda ad Arcelor Mittal, a condizione che 2500 dipendenti su 11500, rimanessero in CIGS sino al 2025 con obbligo di rientro entro quella data (quasi un migliaio di questi hanno accettato l’incentivo all’esodo). Cosa che ad oggi è stata modificata dall’accordo di Marzo 2020 firmato tra Governo e Azienda, che rigetta l’accordo del 18 settembre 2018 e che rende possibile il licenziamento dei ca 1600 lavoratori in AS.
Siamo dunque costretti a chiarire ancora una volta l’attuale situazione economica della società, che finanziariamente ha continuo bisogno di liquidità.
Liquidità che da sola però non può garantirsi, dato che non ha accesso al tradizionale mercato del credito (che sia mercato finanziario o che sia il sistema bancario).
Questa situazione è degenerata ulteriormente dal Marzo 2021, quando avvenne il deconsolidamento di ArcelorMittal-Italia dalla società madre che generò il mancato finanziamento del circolante e l’impossibilità di accesso al credito bancario.
Motivo per il quale da quel momento il CEO Morselli, ha avviato una lunga politica di tagli, dilazione dei fornitori, produzione a singhiozzo e costante cassa integrazione.
Il Tutto nel silenzio assordante dei sindacati confederali.
Per il canone di affitto, dopo 2 anni dalla firma del contratto, Arcelor Mittal avrebbe dovuto versare delle quote allo stato. Cosa mai avvenuta, e anzi nonostante tali obblighi, lo Stato si è trovato a versare cifre ingenti ad Arcelor Mittal. Si parla di soldi pubblici di tutti i contribuenti.
Così come si nota con evidenza oggettiva la dubbiosa e non corretta applicazione della Direttiva Seveso III 2012/18/UE e del decreto legislativo 26 giugno 2015 n.105. (che si applica agli stabilimenti classificati RIR a rischio di incidenti rilevanti).
Dopo ben 13 decreti “Salva-Ilva”, emanati dal 2012 ad oggi, si arriva all’emendamento Fitto: Con l’emendamento firmato da Fitto, si porterebbe l’acciaieria di Taranto all’esclusione dei fondi del PNRR che (secondo quanto promesso) avrebbero dovuto indirizzare a portare alla decarbonizzazione del sito.
Con questa norma si darebbe vita ad un’inibizione del raggio d’azione del Sindaco di Taranto e della Procura, perciò che riguarda un ipotetico stop dell’utilizzo degli impianti e un’ipotetica confisca definitiva del sito.
Quindi di fatto, rendendo inefficaci le lettere di infrazioni europee sullo stabilimento e dando un’estensione dello scudo penale per le figure interne all’azienda che detengono potere di spesa e potere decisionale (così come di altri soggetti della prevenzione e protezione in materia di sicurezza sul lavoro).
In pratica si sta tornando indietro nel tempo, dove la decarbonizzazione appare un’utopia.
Ad oggi in contrapposizione alla situazione politica (sulla quale ancora non c’è una soluzione plausibile a breve termine) si riavvisa un aumento significativo di emissioni da parte del siderurgico di Taranto delle seguenti sostanze tra cui: cromo esavalente, benzo (a) pirene, mercurio, piombo, benzene, idrocarburi Policiclici aromatici (IPA), silice libera cristallina, policrobifenili, diossine, furani e arsenico (presente nelle falde acquifere).
Tutte queste sostanze sono classificate dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro IARC, come “gruppo 1”, ossia CERTE e CANCEROGENE.
Queste sostanze causano nei lavoratori e nei cittadini alcune delle seguenti patologie: Cancro ai polmoni, Bronco Pneumopatia, Silicosi, Sclerodermia, Artrite Reumatoide, Polimiosite, Dermatomiosite.
Per quanto riguarda le emissioni di polveri sottili, esse si traducono in 3 frazioni, tutte continuamente disperse nell’aria del territorio tarantino dall’impianto: polveri inalabili, polveri toraciche, polveri respirabili (CONVENZIONE UNI-EN 481).
Senza contare che la presenza all’interno dello stabilimento di migliaia di tonnellate di amianto (teoricamente bandito già dalla legge 27 marzo 1992 n.257 e successive) e la dispersione delle fibre provocano specificatamente un tumore chiamato Mesotelioma.
SICUREZZA E INCIDENTI RILEVANTI
Il rischio incidenti rilevanti è un problema primario all’interno dello stabilimento ex-ILVA.
L’invecchiamento è un grande problema per gli impianti di processo soggetti a “RIR-Rischio Incidenti Rilevanti” ed in particolar modo per le acciaierie, con impianti datati e obsoleti.
La costruzione e ammodernamento di impianti nuovi, non viene presa in considerazione per motivi economici e politici. Tali condizioni producono i seguenti effetti: addolcimento, infragilimento, decarburazione, carburazione, grafitizzazione
Condizioni che aumentano notevolmente la probabilità di incidenti anche mortali. Da tenere presente proprio per questo, l’effetto domino che potrebbe coinvolgere altri stabilimenti nelle vicinanze del siderurgico.
Da denunciare anche, e di conseguenza, la mancata attività sindacale all’interno dell’azienda, che si limita a interfacciarsi con le parti politiche e amministrative per ottenere incontri e confronti, a discapito totale dell’organizzazione materiale di lavoratori e degli operai in loco.
Di fatto non è mai stato fatto applicare il Decreto 81. (Salute, Sicurezza, Ambiente)
A nostro avviso, tutto parte dalla mancata (e ben precisa) volontà delle Associazioni Sindacali presenti all’interno dello stabilimento di organizzare attivamente i lavoratori e di prendere in considerazione la questione salute come uno dei perni fondamentali della lotta.
Fallendo poi di fatto, anche per ciò che riguarda la tutela del posto di lavoro e della sicurezza dei lavoratori.
La posizione della LMO è sempre stata quella di portare alla eliminazione-riduzione del rischio alla fonte (eliminazione delle fonti inquinanti), fermando tutti gli impianti che emettono sostanze nocive e tossiche. Effettuare vere bonifiche tramite formazione degli stessi lavoratori. Garantire occupazione sicura.
Proprio in virtù di questa situazione allarmante, dal 2017 abbiamo raccolto e portato presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo CEDU, le denunce di decine di coraggiosi operai e dipendenti che hanno denunciato lo Stato Italiano per la mancata tutela della salute sul luogo di lavoro.
Tra gli articoli violati emergono:
· -Art.2 diritto alla vita.
· -Art.3 divieto di trattamenti inumani e degradanti.
· -Art. 8 diritto al rispetto della vita privata e familiare della CEDU.
Di conseguenza, il 5 Maggio 2022 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia alla violazione degli articoli sopra elencati.
Grazie al duro lavoro del nostro POL di avvocati internazionali, con questa sentenza storica abbiamo conquistato la possibilità di ottenere un risarcimento danni non solo a chi ha subito patologie gravi legate alla produzione e/o malattie professionali, ma anche per chiunque abbia lavorato e lavora presso l’area industriale di Taranto.
Ci teniamo a sottolineare, che siamo l’unico sindacato ad aver portato questo tipo di denunce presso la CEDU, tema sempre volutamente ignorato dalle altre O.O.S.S. presenti sul territorio.
La nostra lotta si allarga anche alla partecipazione, con le associazioni del territorio, nella stesura del piano Taranto, che non è altro che una linea guida per la riconversione ecologica, sociale ed economica di Taranto.
Concludiamo il nostro documento politico, con un ulteriore invito nei confronti della classe operaia e delle organizzazioni sindacali a prendere coscienza ed a convergere unitariamente in una lotta su questi punti:
TUTELA DELLA SALUTE, PRETESA DI UN POSTO DI LAVORO SICURO E DIGNITOSO, RISARCIMENTO DANNI, RIAPERTURA BENEFICI PER GLI ESPOSTI ALLE FIBRE DI AMIANTO.
Anche perché è un dato di fatto come questo stabilimento, avendo superato i 40 anni di vita senza l’applicazione di alcun rinnovamento tecnologico, sia giunto a fine vita.
Non è di fatto più compatibile con la vita umana.
-29/30 SETTEMBRE 2023