Nel marzo del 1946 con il rientro di Valletta venne formalizzata l’istituzione del Consiglio di gestione aziendale con funzioni consultive. Nel mese successivo iniziò un’importante trattativa tra Fiat e C.I. su un sistema di salario incentivante, richiesto dalla C.I. per tutelare il salario dei lavoratori non difeso a sufficienza dalla scala mobile introdotta da poco con un accordo interconfederale. Il 30 aprile 1946 fu sottoscritto un accordo che introduceva un premio di squadra legato a un indice di produttività calcolato sulla base di una formula che al numeratore poneva le quantità prodotte (pezzi prodotti moltiplicati i relativi tempi standard) e al denominatore le ore lavorate a incentivo [(ore di presenza) meno (ore a economia) meno (ore di inattività)]. Il risultato retributivo era “rallentato”, in pratica non vi era corrispondenza tra la curva di produttività e quella salariale, nel senso che il risultato salariale cresceva proporzionalmente di meno rispetto agli incrementi di produttività. Ciò derivava da preoccupazioni sindacali legate alle negative esperienze del cottimo d’anteguerra, ai conseguenti effetti negativi che potevano generare elevati premi di cottimo in termini di rottura delle solidarietà tra lavoratori, proprio perché si temeva una rincorsa individuale agli incrementi di produttività basata sui maggiori guadagni di cottimo. Come si vedrà in seguito questo timore è ricorrente negli orientamenti dei militanti sindacali della Fiat, solamente in parte giustificato dalle negative esperienze del passato; più spesso la cautela ad affrontare compiutamente i problemi legati ai sistemi d’incentivazione delle prestazioni lavorative e la moderazione salariale su questi aspetti ha comportato lo sviluppo di forti contraddizioni nel tempo. In ogni modo l’obiettivo esplicito dell’accordo era di raggiungere i livelli di produttività dell’immediato periodo prebellico.
Nella sua essenza il premio era una specie di cottimo collettivo di squadra, che evitava il ritorno al tradizionale cottimo individuale, troppo inviso agli operai per la passata esperienza del sistema Bedaux; perciò la soluzione individuata rappresentava un compromesso “indolore” per la maggioranza dei lavoratori.
L’accordo fu sottoscritto in un clima di cooperazione tra le parti attraverso la costituzione preventiva di commissioni di lavoro dedicate che esaminarono preventivamente i diversi problemi. Si tradusse immediatamente in un aumento salariale per gli operai, anche con rendimenti non troppo elevati, quindi fu visto con favore dai lavoratori e salutato come una vittoria sindacale. Stabiliva nei fatti un modello di salario variabile, di connessione tra retribuzione e prestazione, che sarebbe stato replicato in molte altre aziende e rivisitato nella contrattazione dei successivi trent’anni in Fiat. Il premio fu chiamato inizialmente “premio di produttività” e in seguito fu rinominato “premio di produzione” negli accordi degli anni cinquanta.
L’accordo riconfermava il sistema Bedaux come metodo per determinare i rendimenti, presentava però un difetto congenito perché non affrontava in termini adeguati il problema della determinazione dei tempi di lavoro assegnati ai lavoratori. Nella determinazione dell’indice di produttività i tempi di lavoro hanno una rilevanza importantissima, poiché le quantità produttive si calcolano sulla base della sommatoria dei tempi assegnati per la loro effettuazione, o tempi standard; quindi, un eventuale taglio dei tempi aumenterebbe consistentemente la produttività, ma non comporterebbe proporzionali benefici salariali perché l’indice di produttività indicato nell’accordo non ne rileverebbe la variazione. In realtà si confermava un metodo sindacale molto attento ai problemi del salario e della garanzia delle tariffe di cottimo, ma meno capace di regolare con criteri oggettivi la prestazione richiesta; ciò era anche una diretta conseguenza delle difficoltà sindacali ad affrontare i problemi connessi con i sistemi di cottimo.
L’accordo prevedeva la possibilità dell’operaio di contestare il tempo assegnato e anche la possibilità di ricorrere alla C.I., però dopo una complessa procedura che prevedeva prima la contestazione al capo squadra, poi all’Ufficio Mano d’Opera e infine alla C.I.; anche se, data la disorganizzazione produttiva del momento, la questione dei tempi di lavoro veniva probabilmente giudicata scarsamente rilevante. È necessario aggiungere che l’accordo fu sottoscritto in un periodo di grave crisi produttiva, per la carenza di materie prime e un insufficiente livello di ordinativi. Nella parte finale il testo dell’accordo sembra indicare una sorta di riserva della Fiat nei confronti degli aumenti uguali per tutte le categorie, o meglio, uguali per tutti dentro le grandi aree in cui erano suddivisi i lavoratori: diretti, indiretti, indiretti non collegati alla produzione, donne e ragazzi. Questa riserva emergerà con maggiore forza nelle trattative successive.