L’accordo del 22 maggio del 1956 introduce un’importante innovazione con la riduzione dell’orario di lavoro di 48 ore settimanali, a parità di salario: 46 ore per il turno normale, 44 ore per il 1° e 2° turno, 40 ore per il 3° turno, con la corrispondente rivalutazione del compenso turno. La riduzione d’orario fu giudicata favorevolmente anche dalla Fiom, poiché rispondeva a delle rivendicazioni presentate in precedenza; contemporaneamente, però, fu introdotto l’istituto della “banca delle ore” per il 1956, con un incremento dell’orario di lavoro settimanale di 4 ore dall’inizio di giugno fino a metà settembre, compensato da una settimana di chiusura ulteriore degli stabilimenti nel mese di agosto, collegata alla chiusura feriale. Poco dopo fu sottoscritto l’accordo che riduceva anche l’orario di lavoro settimanale agli impiegati a 43 ore e 45 minuti, sempre a parità di retribuzione. L’introduzione di flessibilità nell’uso dell’orario è chiaramente una modalità per ridurre l’incremento dei costi derivanti dalla riduzione dell’orario settimanale, proposto dalla stessa C.I. in funzione di una prassi che, i quegli anni, vedeva un incremento degli orari di lavoro nel periodo estivo. Quindi uno scambio che la Fiat accetta di buon grado, nonostante denunci una rilevante crescita dei costi derivanti dalla riduzione d’orario. In realtà la discrezionalità Fiat sull’utilizzo dell’orario era assoluta, stante la divisione esistente nella C.I.; per questo l’accordo sulla banca delle ore comportò rapidamente un incremento dello stesso orario di lavoro, con i lavoratori costretti a variare la propria prestazione lavorativa sulla base delle esigenze produttive.
In ogni modo inizialmente l’innovazione contrattuale sembrò significativa e contribuì a consolidare la nuova maggioranza della C.I., che uscì ulteriormente rafforzata nelle elezioni di quell’anno. La riduzione d’orario era stata preceduta da un dibattito pubblico nato due anni prima quando La Stampa, il 21 maggio 1954, riportò un articolo del senatore Alfredo Frassati, industriale e liberale, che teorizzò la riduzione internazionale della settimana a 36 ore, a parità di salario, per risolvere i problemi della disoccupazione e rilanciare l’economia. La proposta aveva sollevato echi e un dibattito che aveva coinvolto il sindacato e la sinistra, sollevando anche delle attese e delle rivendicazioni da parte delle C.I.; a questo avevano anche contribuito accordi di riduzione dell’orario sottoscritti nelle industrie automobilistiche degli altri paesi europei. Nel settembre del 1955 la Fiom di Torino aveva avanzato la rivendicazione della riduzione d’orario alla Fiat, alla Riv e all’Olivetti. Subito dopo l’accordo Fiat altre aziende seguirono l’esempio, mentre l’Olivetti aveva sottoscritto in precedenza un accordo unitario che era ancora più favorevole ai lavoratori di quello Fiat, poiché non prevedeva meccanismi come quello della banca delle ore.