Contrariamente alle previsioni degli estensori l’accordo del 6 luglio 1962 non determinò la fine degli scioperi, che anzi ripresero più compatti di prima, in mezzo a un’accesa polemica tra le organizzazioni sindacali. In realtà la Fim e la Fiom avevano un rapporto molto precario con la massa degli scioperanti, non avendo più le dimensioni organizzative necessarie a governare il movimento che si era improvvisamente messo in moto. Il 6 luglio si forma una manifestazione spontanea in Piazza Statuto, sotto la sede della Uilm; nel giro di poco tempo le cariche della polizia generano un episodio di guerriglia urbana che si ripete nei due giorni successivi. La Fiat e il Ministro degli interni, Taviani, accusarono immediatamente la Cgil e il Pci di essere gli ispiratori degli scontri in Piazza Statuto; mentre queste organizzazioni erano state chiaramente prese alla sprovvista dalle dimensioni della protesta e, anzi, accusarono la presenza di elementi provocatori, mandati dalla Fiat, che avevano fatto degenerare la mobilitazione dei lavoratori. Al di là dei possibili elementi di provocazione, che risultano da alcune testimonianze dirette, risultava evidente che il clima sociale e sindacale era cambiato nella città di Torino: le lotte sindacali erano alimentate da una nuova classe operaia, spesso giovani immigrati dal Sud, che vivevano con disagio e rabbia le difficili condizioni di vita e di lavoro della città.
Prima delle ferie la Fiat attua 84 licenziamenti di rappresaglia ai danni di militanti sindacali di Fim, Fiom e Uilm, mentre lo sciopero dichiarato per respingere questi provvedimenti, il 4 agosto, fallisce. Al rientro delle ferie la Fiat propose la ripresa della trattativa, questa volta con la partecipazione della Fiom, che in questo modo superò definitivamente la discriminazione attuata ai suoi danni nella conduzione delle trattative. In cambio della disponibilità a trattare la Fiat chiese di essere esentata dagli scioperi nazionali del 13, 14 e 15 settembre. Mentre Uilm e Sida si dichiaravano disponibili, Fim e Fiom respinsero la richiesta aziendale e gli scioperi furono dichiarati anche per la Fiat. Tutte le organizzazioni sindacali furono invece d’accordo di esentare la Fiat dagli scioperi successivi, che si presentavano problematici nella riuscita. L’accordo fu firmato il 3 ottobre con la mediazione del Prefetto di Torino. È opportuno aggiungere che, oltre alle naturali critiche provenienti dalla Confindustria nei confronti della Fiat, anche per la Fiom la decisione di aderire alla trattativa per un accordo-acconto avvenne con un’aspra discussione interna, che fu superata sulla base di una valutazione positiva relativamente agli effetti della rottura della situazione di discriminazione e d’isolamento degli anni precedenti.
L’accordo è complesso e affronta molte materie con un miglioramento integrativo rispetto a quello del 6 luglio: infatti, introduce il criterio delle maggiorazioni percentuali per il lavoro straordinario, notturno e festivo; incrementa le giornate di ferie annue da 17 a 20 giorni in ragione dell’anzianità aziendale; introduce quattro aumenti periodici in percentuale per gli operai; recepisce i miglioramenti dei trattamenti per malattia estendendoli anche ai casi d’infortunio sul lavoro, incrementa le indennità di licenziamento per gli operai. Queste ultime norme erano particolarmente significative poiché attuavano un primo avvicinamento normativo agli impiegati e gettavano le basi per l’equiparazione futura. Gli allegati all’accordo contenevano una serie di disposizioni e dichiarazioni molto importanti, tra cui l’accettazione del principio della contrattazione articolata da parte della Fiat. Sempre negli stessi allegati venivano ridefinite le norme sui premi di produzione, sul premio generale di stabilimento e sulle regole del rilievo dei tempi di lavoro, attenuando la complessa procedura prevista nell’accordo separato del 1955, nel caso di reclamo da parte degli operai, con il superamento del reclamo scritto nei confronti dell’Ufficio analisi lavoro. I regolamenti sui premi venivano resi più favorevoli ai lavoratori, sia rendendoli più precisi e articolati, sia risolvendo una serie di problemi che erano stati oggetto di lunghe discussioni in sede di C.I., come il computo degli scarti non imputabili ai lavoratori o lo scorporo dei tempi di avviamento, in cui la produttività è normalmente molto bassa. Nell’insieme si trattava di un accordo molto articolato con miglioramenti economici e normativi che saranno superiori allo stesso rinnovo del Ccnl, realizzato all’inizio dell’anno successivo (17 febbraio 1963); inoltre l’accordo rinviava a una successiva intesa l’istituzione di un premio semestrale legato alla produttività media dell’azienda.
In ogni modo il rinnovo del Ccnl comportò dei risultati positivi per la categoria dei metalmeccanici, stabilendo un incremento dei minimi retributivi dell’11% circa, oltre a prevedere una riduzione dell’orario di lavoro settimanale, sia pure graduata nel tempo e differenziata per settore: per il settore auto avio erano stabilite le 44 ore settimanali dal 1° luglio 1965; inoltre veniva recepito il diritto alla contrattazione a livello aziendale, sia pure nei limiti previsti dalle norme contrattuali, che consentivano essenzialmente la contrattazione del premio di produzione. Con questo rinnovo contrattuale venivano anche superate le storiche differenze nei minimi retributivi tra uomini e donne, mentre restavano ancora in vigore le retribuzioni ridotte per i giovani di età inferiore ai 20 anni. Questi miglioramenti normativi avevano l’effetto di ridurre ulteriormente la situazione di relativo privilegio dei lavoratori Fiat rispetto a quelli delle altre aziende.
L’inserimento di specifiche clausole sulla contrattazione aziendale, sia nell’accordo Fiat, che nel rinnovo del Ccnl, dimostrano che la riflessione critica dentro le organizzazioni sindacali, in particolare la Cgil, aveva elaborato una nuova strategia rivendicativa, superando i limiti legati alla centralizzazione contrattuale degli anni cinquanta e assumendo la contrattazione aziendale sui temi specifici della fabbrica come una nuova dimensione delle relazioni industriali e del rapporto con i lavoratori.
L’accordo Fiat superava la discriminazione nei confronti della Fiom, gettando le basi concrete per una nuova collaborazione tra i sindacati, tuttavia non poteva risolvere l’insieme dei problemi che si erano accumulati nel corso degli anni. In particolare i problemi della prestazione di lavoro e degli istituti retributivi legati alla produttività, che rimanevano sempre al centro dei confronti tra C.I. e Direzione Fiat, come dimostra la dichiarazione a verbale del 9 aprile 1963, in cui la Fiat s’impegnava a maggiorare i tempi di lavoro dei nuovi modelli in modo che il premio generale di stabilimento si rivalutasse per gli effetti della crescita della produttività.