All’inizio del 1968 le organizzazioni sindacali stavano predisponendo molte vertenze nelle principali aziende, tra cui la prima vertenza unitaria alla Fiat su orari di lavoro e cottimo. Il 30 marzo fu la prima giornata di sciopero, dichiarata da Fim, Fiom Uilm e Sida a sostegno della vertenza, dopo una trattativa che non aveva dato esiti. La completa riuscita dello sciopero consentì di replicare l’iniziativa nelle giornate del 6 e 11 aprile. Un questionario distribuito dai sindacati ai lavoratori di Mirafiori, nell’aprile del 1968, viene compilato da oltre 15.000 lavoratori, indicando una carica di partecipazione alla vertenza e di disagio rispetto alle condizioni di lavoro superiore alle attese. La Fiat, probabilmente consapevole della situazione, propose di riprendere le trattative: ciò consentì di arrivare all’accordo, il 31 maggio 1968, presso l’Unione Industriale di Torino.
La vertenza era stata preceduta da una fase di preparazione e consultazione di massa tra i lavoratori, attraverso anche un referendum che chiariva le proposte sindacali; inoltre era favorita da un clima generale di risveglio del movimento operaio nelle fabbriche, cui la stampa dava ampio risalto rendendo evidente che si stava determinando una nuova situazione sociale. In questa fase, in cui si avvertiva il mutamento dei rapporti di forza, iniziavano ad essere praticabili le elaborazioni degli anni precedenti. È necessario aggiungere che nelle elezioni politiche del maggio del 1968 i partiti di sinistra avevano avuto un successo notevole, che confermava i nuovi orientamenti della società italiana.
La vertenza era stata elaborata su due linee rivendicative: la regolamentazione degli orari di lavoro e il rinnovo dell’incentivo di rendimento, che era arrivato a scadenza, tentando di superare i limiti degli accordi del 1963 e 1964. Per quanto riguarda gli orari la rivendicazione era di rendere effettive le 44 ore settimanali, superando il secondo turno del sabato pomeriggio, mentre la prassi aziendale tendeva a superare sistematicamente l’orario contrattuale. Sull’incentivo di rendimento si rivendicava invece una rivalutazione economica e una regolamentazione che consentisse un maggior controllo da parte dei lavoratori sulla formazione dei tempi e sulla quantità di produzione, con la delimitazione dei tempi di assestamento e la comunicazione dei tempi di lavoro nei suoi elementi costitutivi; inoltre un apposito tabellone per le linee di montaggio in cui precisare le quantità produttive da realizzare e il numero di operai necessari, in modo da stabilire un rapporto razionale tra produzione e organico, che era sempre in discussione per effetto delle politiche aziendali che tentavano di forzare sui livelli produttivi, per esempio, aumentando la velocità della linea quando diminuiva l’organico per effetto delle assenze per malattia.
L’accordo costituisce per i sindacati un successo, poiché è la prima vera vertenza aziendale conclusa dopo molti anni, anche se non mancarono perplessità su alcuni punti. L’orario di lavoro fu concordato in 45 ore settimanali, con una distribuzione da lunedì a venerdì per gli impiegati (che l’anno precedente avevano scioperato per questo obiettivo) e i normalisti, mentre i turnisti erano impegnati sino al 1° turno del sabato. L’incentivo di rendimento derivava direttamente dal premio di produttività del 1946 (denominato premio di produzione negli anni cinquanta), utilizzando la stessa formula per calcolare il rendimento di gruppo (ore prodotte diviso ore incentivate); era strutturato su una scala da 100 a 150 e su tre livelli di tariffe – lavori pesanti, lavori normali e minori di anni 18 -, mentre era stata definitivamente superata la differenza tra uomini e donne. Le nuove tariffe comportavano una rivalutazione con un guadagno indicativo medio di 19 lire/ora e era rivalutata anche l’indennità disagio linea; inoltre veniva stabilito la comunicazione dei tempi ai lavoratori tramite appositi cartellini e l’introduzione del tabellone di linea nei termini richiesti; il periodo di assestamento dei tempi fu fissato in quattro mesi per le lavorazioni automotoristiche e due mesi per le altre.
Da parte sindacale c’era la consapevolezza che gli strumenti conquistati erano molto deboli per esercitare un controllo sulla prestazione di lavoro, ma l’accordo era considerato una premessa per ulteriori sviluppi e anche una vittoria politica. La vertenza del 1968 poteva essere considerata una “prova generale” per le organizzazioni sindacali che erano state prudenti nell’elaborare le rivendicazioni, in modo da evitare uno scontro di principio molto duro e necessariamente prolungato, non avendo ancora un radicamento organizzativo sufficiente per poter valutare fino a che punto “teneva” la capacità di mobilitazione dei lavoratori; inoltre la tenuta del rapporto unitario tra i sindacati era ancora considerata molto problematica, nonostante gli evidenti passi in avanti compiuti: in più di una occasione erano emerse differenze sul modo di condurre la trattativa, superate alla fine non senza qualche difficoltà.