Nel corso del 1975, oltre alla cassa integrazione, la Fiat ricorreva frequentemente a trasferimenti interni che avevano creato molti disagi ai lavoratori e difficoltà nel rapporto tra sindacato e lavoratori. La crisi aveva comportato per la Fiat una condizione difficile, con difficoltà a realizzare adeguati bilanciamenti produttivi tra le varie linee di prodotto; tuttavia, le disfunzioni organizzative venivano risolte con una mobilità scriteriata dei lavoratori, spesso punitiva degli iscritti al sindacato, senza che vi fosse un coerente tentativo di programmare in modo più razionale la produzione. È necessario considerare che in quegli anni il sistema produttivo era dotato di una ridondanza di risorse, con magazzini intermedi e finali che consentivano di svincolare il livello produttivo rispetto alla domanda di mercato; inoltre il prodotto era poco differenziato e i programmi produttivi potevano essere impostati su periodi più lunghi rispetto alla configurazione produttiva attuale. Tuttavia, gli effetti della crisi si facevano già sentire e l’azienda aveva iniziato a porsi obiettivi di maggiore flessibilità produttiva, che generavano i fenomeni di mobilità interna dei lavoratori. Per questi motivi, nella primavera del 1975, furono impostate una serie di vertenze che avevano come obiettivo la contrattazione dei programmi produttivi mensili o trimestrali, in modo da stabilizzare la mobilità interna e renderla pianificabile.
I primi accordi sono di stabilimento e riguardano le linee di montaggio finale, successivamente il 4 luglio 1975 fu raggiunto un accordo di gruppo che regolava l’insieme della materia dei trasferimenti interni, a cui si aggiungevano alcuni aspetti importanti in termini di modifica dell’organizzazione del lavoro.
Nei trasferimenti interni l’accordo prevedeva una procedura precisa di verifica e criteri di scelta degli interessati, distinguendo tra trasferimenti inferiori a 70 addetti, per i quali la procedura di verifica doveva concludersi entro due settimane, mentre per quelli superiori si avviava una trattativa più complessa. Con queste regole negli anni successivi furono affrontati e regolati trasferimenti per circa 11.000 lavoratori. Un altro punto importante fu quello di prevedere la rotazione sulle linee di montaggio tra più postazioni: ciò consentiva l’acquisizione del 3° livello in tempi più brevi di quelli previsti dal Ccnl del 19 aprile 1973. In ogni caso si riconfermava la disponibilità aziendale a esaminare proposte di ricomposizione e arricchimento professionale, anche prevedendo lo sbocco al 4° livello. Per gli impiegati si prevedeva la costituzione di quattro distinti Comitati Qualifiche in luogo dell’unico previsto dall’accordo del 5 agosto 1971, uno per ciascun Settore aziendale: Auto, Veicoli Industriali, Attività diversificate, Enti centrali.
Un esempio di accordo sui trasferimenti interni da segnalare è quello dell’8 novembre 1975, che è un’intesa di verifica dell’accordo del 30 novembre 1974 sui livelli occupazionali, con garanzia di non ricorrere ai licenziamenti per tutto il 1976 e la verifica puntuale degli impegni assunti dall’azienda in particolare per gli stabilimenti del Sud.
L’accordo del 4 luglio 1975 intervenne in un’intensa fase di negoziazione sia per quanto riguarda la materia dei trasferimenti e della mobilità interna; sia sugli aspetti dell’organizzazione del lavoro e dell’arricchimento professionale, contribuendo allo sviluppo di un’articolata e originale contrattazione. In gergo sindacale fu definita la stagione delle “100 vertenze”, che comportò la sottoscrizione di ben 177 accordi tra il 1975 e il 1979 nei tre maggiori stabilimenti dell’automobile (18 al Lingotto, 63 a Rivalta, 96 a Mirafiori). È evidente che il numero sarà notevolmente superiore se si considerano anche gli altri Settori Fiat. È opportuno aggiungere che la contrattazione a livello di stabilimento e di reparto non si pose quasi mai obiettivi di carattere retributivo, questione che era demandata alle vertenze di Gruppo; ovviamente si manifestavano spinte salariali, ma per comune interesse delle parti sociali, queste venivano regolate centralmente, per evitare i rischi di una rincorsa salariale ingovernabile.
Il 1975 fu un anno particolare, in cui probabilmente si sviluppò il livello più alto di elaborazione contrattuale. La conflittualità riprese con l’esaurirsi della Cassa Integrazione, soprattutto su obiettivi che avevano al proprio centro il cambiamento del modo di lavorare, il diritto alla formazione e all’arricchimento professionale dei lavoratori, finalizzati certamente al riconoscimento della categoria professionale superiore, ma anche a un modello diverso di lavoro, con l’obiettivo di una maggiore autonomia operativa e la risoluzione di una serie di problemi e inefficienze dell’organizzazione produttiva. Le vertenze erano maggiormente governate rispetto ai periodi precedenti e raramente sfociavano in scioperi a oltranza, anche se andavano in questa direzione le indicazioni di Lotta Continua e delle altre organizzazioni extraparlamentari. L’esigenza di un maggior governo sindacale derivava anche dalla strategia della Fiat che con le “mandate a casa”, effettuate anche quando non vi era una esigenza oggettiva, cercava di rompere il fronte sindacale.
Erano vertenze che erano articolate su molte realtà professionali, compresi gli impiegati e i tecnici, e avevano alcuni punti di partenza comuni: innanzi tutto le rivendicazioni finalizzate all’arricchimento professionale facevano leva su processi già in atto, cioè sviluppavano e formalizzavano modi di lavorare informali adottati dai lavoratori che si facevano carico di una serie di problemi e disfunzioni organizzative, ma a cui non corrispondeva un riconoscimento professionale; secondariamente non erano rivendicazioni generalizzate ma mirate a specifiche situazioni e figure professionali che accettavano determinati comportamenti in termini di copertura di più ruoli e mansioni. In quel periodo furono contrattate e definite figure come il “rappezzista – levabolli”, il “ferratore – revisionista – riparatore” o l’“attrezzatore – aggiustatore stampi”, che comportavano lo sbocco al 4° livello poiché rappresentavano la ricomposizione di più mansioni e una notevole esperienza lavorativa: infatti, molti di questi lavoratori in seguito misero a frutto le competenze acquisite e trovarono collocazioni vantaggiose sul mercato del lavoro, in alcuni casi come lavoratori autonomi, innescando un positivo fenomeno di mobilità sociale.
Le nuove forme organizzative presentavano il vantaggio di una maggior flessibilità, che risolveva spesso problemi e disfunzioni, come quelle legate all’assenteismo. In quel periodo si diffuse molto la microcontrattazione che non aveva solamente lo scopo di migliorare le condizioni di lavoro, ma in alcuni casi si proponevano anche una regolazione migliore del flusso produttivo e dell’efficienza aziendale attraverso l’utilizzo dell’esperienza informale dei lavoratori. La logica conseguenza e l’obiettivo di queste elaborazioni era la sperimentazione di forme d’integrazione funzionale e produttiva tra i lavoratori, i cosiddetti “gruppi integrati di produzione”, in altre parole gruppi di lavoratori con un’elevata autonomia organizzativa e capacità professionale, che assommavano competenze funzionali diverse, in termini di fabbricazione, controllo di qualità, manutenzione ecc.